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Prefazione di Fortuna Della Porta
Nel microcosmo di una pausa esistenziale Loredana Becherini insinua lo scorrere del tempo non come ente fisico ma presenza simultanea di epoche, quasi in una forma circolare, con inizio e fine coincidenti.
Qui vinta/ sciolgo il passato e lo riplasmo in sogno/ con tasselli ideali e attenti gesti/ a ricomporre un quadro mai risolto.

Si ha l’impressione che l’autrice, giunta alla svolta dell’età matura, tenti la sistemazione della sua vita attraverso una sorta di consuntivo: ferma nella sua meditazione lascia scorrere le immagini senza curarsi del nesso cronologico e così s’arroccano in contemporanea sull’ Io poetico le generazioni passate, gli affetti, le nostalgie e gli amori che hanno costellato un tratto della sua strada, momenti d’arte e persino i gatti che hanno attraversato spazi fisici ed emotivi durante le loro scorribande notturne.

Si affacciano le figure familiari, mamma, padre e teneramente il nonno che la penna scalpella e tutto il canto si scioglie in una malinconia rattenuta o una lieve nostalgia che, pur nella consapevolezza che è tardi per districare tutti i nodi, non si trasforma in rimpianto o peggio in lamento.
Come amo ora/ restare qui sola a pensare/lontani volteggiano inverni/ da là dal lucido vetro/ verdi nella memoria/ sempre.

C’è una necessità nell’accadere immodificabile e quando si possiede la tempra necessaria a fronteggiare la bufera, o il fato ha evitato di imporci pesi che sfiancano, o ancora, soprattutto, gli anni vissuti hanno insegnato che lo stoicismo dell’accettazione, se non proprio l’impassibilità, è in grado di fare da argine allo sconforto, allora la vita diventa luogo della pace possibile con sé stessi e con l’apparato cosmico nel suo complesso.
Non conosce rimpianti la mia attesa/ del grande nulla.

Una calma sapienziale detta il passo misurato e i versi, talora intensamente lirici, accentuano la musicalità in un fluire senza impacci, avviluppati nei loro sensi profondi e non concedono spazio all’angoscia esistenziale legata alle domande eterne e implacabili cui non si trova risposta. Anzi, non manca la nota della fiducia che ogni volta intravede con ottimismo la possibilità di ricominciare.
È tempo ormai/ di aprire i vetri spalancare al giorno.

E inoltre una specie di simbiosi s’instaura in questa poesia tra elementi animati e inanimati e tutto è immerso in una densa fisicità: la natura ha tratti esaminati con cura, come le città o le persone, con lo sguardo sgombro che la pienezza del proprio tempo consente e che induce a convivere quieti col mistero che pure ci tiene in disparte dalla propria comprensione.
Una malinconica serenità si posa sui tramonti, sulle strade, sui venti e dunque possiamo parlare di una poesia di confessione, ma ben collocata nella geografia di luoghi e stagioni.

La dichiarazione poetica è ancora più articolata: Loredana rivendica il valore della Parola, come possibilità di andare oltre il segno fino ad attingere all’ inesprimibile, che a suo parere è il vero senso del messaggio poetico.
In effetti, la riflessione sul linguaggio ha costituito una costante della nostra cultura più recente, compresa l’indagine filosofica, come in Heidegger, o la psicoanalisi. Basti pensare all’uso introspettivo che quest’ultima faceva delle associazioni verbali.
In poesia, il secolo appena concluso si è caratterizzato, cito a caso, con le parole in libertà del Futurismo, la Parola –Pietra di Ungaretti, gli intrecci ricercati di Sanguineti, le sperimentazioni delle Avanguardie, ecc.

Anche L.B. affida alla Parola una grande responsabilità, ossia quella della rivelazione del non detto o non dicibile, ma invece di costringere i lemmi in canoni prestabiliti, come di solito è accaduto, decide che essi debbano essere lasciati liberi, che vadano senza impacci fino al cuore e all’intelligenza di chi è in grado di oltrepassarli.
Si fanno notare allora l’assenza della punteggiatura, se si esclude il punto fermo e qualche trattino, in uno zampillare della parola con una naturalezza ammirevole, e la citazione petrarchesca nel Commiato: Se tu avessi ornamenti quan’ài voglia/ poresti arditamente/ uscir del bosco, et gir infra la gente.

Poesia dunque di consapevolezza e ambizione che giunge dal sentimento ma anche dalla concentrazione sul fine e sull’espressione dell’arte, che hanno reso l’autrice consapevole dei propri mezzi e in grado di padroneggiarli.